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Il Digiuno Intermittente: Meccanismi e Tipologie

dieta digiuno intermittente

Il digiuno intermittente (o intermittent fasting) è un approccio alimentare venuto alla ribalta negli ultimi anni nella letteratura scientifica e che viene spesso associato alla restrizione calorica cosi da far riscontrare benefici sui processi autofagici, sulla longevità e sul dimagrimento.

Il digiuno intermittente si è ultimamente diffuso anche nella nutrizione sportiva e nelle palestre e tra i praticanti di bodybuilding. Nonostante ciò, ancora oggi, tale approccio alimentare tende a far storcere il naso a molti nutrizionisti e medici.

In questo articolo vedremo come funziona tale regime, i processi biochimici e fisiologici che ci sono dietro, parte della storia del digiuno intermittente e i possibili effetti sulla composizione corporea, sul dimagrimento e sulla performance sportiva. Ancora prima degli effetti metabolici che produce, il grande vantaggio è la sua estrema flessibilità alimentare e quindi aderenza alla dieta, dovuta ad una frequenza dei pasti non tassativa, applicabile sia durante i periodi di massa, che di definizione.

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Il digiuno intermittente

Negli ultimi decenni col progresso e la tecnologia, soprattutto in ambito medico-sanitario, l’aspettativa di vita di ognuno di noi è migliorata parecchio. La vita media per un uomo di un Paese sviluppato si aggira intorno ai 68 anni, più fortunate le donne a fronte dei 73 anni vissuti di media. L’Italia, secondo gli ultimi dati dell’OMS, sarebbe tra i primi posti tra le Nazioni più longeve.

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Il tasso di obesità nel mondo è in aumento

Nonostante l’aumento notevole dell’aspettativa di vita, contemporaneamente, anche le malattie e i disturbi legati all’invecchiamento (diabete, tumori, morbo di Alzheimer, patologie cardiovascolari ecc…) aumentano. Insomma, vivere la vecchiaia in maniera sana e senza problemi è diventato ormai un’impresa più che ardua.

Molto è stato fatto in ambito medico nella cura di malattie ritenute fino a decenni e secoli fa inguaribili, soprattutto malattie genetiche ed infantili che hanno permesso di ridurre i rischi di mortalità nei bambini e aumentare le speranze di vita. Poco invece è stato fatto in ambito preventivo, soprattutto nella prevenzione di malattie legate agli eccessi alimentari: parliamo ovviamente dell’obesità.

L’obesità è una delle malattie (è una vera e propria MALATTIA ed è bene ribadirlo visto che oltre l’aspetto fisico porta con sé una serie di conseguenze patologiche come diabete, aterosclerosi, ecc… e le recenti campagne pubblicitarie a favore delle donne in sovrappeso, chiamate anche “curvy”, sono a dir poco preoccupanti) che ha visto negli ultimi decenni, soprattutto nei Paesi più industrializzati, un aumento vertiginoso. Secondo alcuni recenti dati pubblicati sull’ international journal of obesity si prevede che entro il 2030 gli uomini in sovrappeso ed obesi siano destinati ad aumentare notevolmente.

Fino al 2005 la popolazione in sovrappeso od obesa nel mondo era pari a circa il 33% (1,3 miliardi di persone), si prevede però che entro il 2030 tale percentuale sia destinata ad aumentare fino al 58% circa (pari a 3,3 miliardi di persone).

I Paesi maggiormente colpiti dall’obesità e dal sovrappeso sono quelli industrializzati rispetto a quelli in via di sviluppo.

Le cause principali sono da attribuire sia all’aumento di consumo di cibi molto densi e ricchi di zuccheri semplici e grassi sia all’aumento dell’inattività fisica che sono causa di quelle che il medico francese Louis-Ferdinand Céline aveva definito “epidemie di malattie da pancia piena”.

Facendo un passo indietro e rivolgendo uno sguardo al passato, possiamo notare come tali problemi erano praticamente inesistenti fino a qualche secolo fa, quando non esistevano cibi industrializzati e non si stava costantemente a sgranocchiare patatine o qualsiasi altro junk-food standosene seduti comodamente sul divano a guardare la TV.

Nella preistoria l’aspettativa di vita non era molto alta (intorno ai 20-30 anni, soprattutto per le scarse condizioni igieniche) ma la gran parte delle malattie legate all’alimentazione praticamente non esistevano e non esisteva l’obesità. Gli uomini delle caverne erano soliti digiunare anche diversi giorni (non avevano il cibo a portata di mano) e passavano la gran parte della giornata cercando di procurarsi il cibo che non sempre arrivava giornalmente e a volte bisognava aspettare anche un’intera settimana prima di mettere qualcosa sotto ai denti.

Nel mondo animale (fatta eccezioni per gli animali domestici per ovvi motivi) l’obesità sembra non esistere, o più precisamente esiste un fenomeno abbastanza particolare, ovvero una sorta di sindrome metabolica fisiologica sviluppata dagli animali durante i periodi estivi quando questi fanno scorta di cibo al fine di affrontare al meglio la stagione invernale, periodo in cui questa sindrome regredisce per la forte restrizione calorica e i lunghi periodi di digiuno che molti animali sono destinati ad affrontare.

Si tratterebbe quindi di un processo adattivo, infatti sia l’insulino-resistenza che la leptino-resistenza che si sviluppano nelle condizioni di sindrome metabolica servono in natura per sopravvivere a carestie.

C’è però qualcosa che accomuna tutto ciò: gli animali, così come gli uomini della preistoria, sono abituati a pratiche che (soprattutto in determinati periodi dell’anno) per loro sono pressoché naturali ed istintive, ovvero il digiuno e la restrizione calorica.

Il digiuno oltre che affondare le proprie radici già nell’era preistorica dove era praticato per ragioni istintive ed ambientali è stato anche molto diffuso tra varie religioni. Le principali: Cristianesimo, Islamismo e Buddhismo.

I fondatori delle loro rispettive religioni (Gesù, Maometto e Buddha), secondo i testi tramandati nella storia, hanno tutti avuto a che fare col digiuno. Si dice che Gesù abbia digiunato prima della sua vita pubblica e che Mosè si sia astenuto dal cibo per 40 giorni prima di ricevere le tavole. Anche nella Bibbia si trovano diversi passi in cui si parla di digiuno come strumento di espiazione e purificazione interiore.

Durante il Medioevo i digiuni venivano praticati per vivificare l’anima e lo spirito verso la purezza e la verità.

Nelle religioni il digiuno assume quindi un forte valore simbolico.

Anche diversi filosofi greci hanno avuto esperienze dirette col digiuno per motivi diversi. Il digiuno era usato in particolare per stimolare l’intelligenza e schiarire le idee e c’è anche una spiegazione biochimica dietro a ciò. La stimolazione del rilascio di catecolamine come adrenalina e noradrenalina durante le ore di digiuno migliora attenzione e concentrazione. Tra questi filosofi Pitagora si dice abbia digiunato per 40 giorni prima di superare gli esami alla scuola di Alessandria. Anche Socrate era solito effettuare regolarmente circa 10 giorni di digiuno per affinare i suoi ragionamenti filosofici, seguito dal suo miglior discepolo Platone.

intermittent fasting

Digiuno intermittente e Dieta Mediterranea

I digiuni religiosi sembrano aver avuto in passato un’influenza notevole nello stile di vita alimentare dell’uomo. Secondo alcuni critici tali pratiche avrebbero anche influenzato alcuni studi come quello di Ancel Keys sulla dieta mediterranea.

La dieta mediterranea è considerata da molti (scienziati o no) come la più salutare. Come essa si diffuse è però poco noto al pubblico.

Il “Seven Countries Study” è il nome dello studio condotto da Ancel Keys a partire dal lontano 1958 chiamato così poiché furono studiate le abitudini alimentari di sette Paesi (Finlandia, Giappone, Grecia, Italia, Olanda, Usa e Jugoslavia).

In quello studio emerse che le popolazioni mediterranee, come la Grecia e l’Italia, erano più in salute con un minor rischio di problemi cardiovascolari e di mortalità rispetto a popolazioni come quelle del Nord Europa o gli USA le cui diete erano costituite da alti livelli di grassi saturi che furono incolpati di essere la causa di rischi cardiovascolari. I ricercatori conclusero che tali effetti benefici delle diete dei Paesi del mediterraneo erano dovuti al consumo di grano, frutta, vegetali e olio d’oliva che furono etichettati come cibi salutari.

Da lì in poi la “Dieta mediterranea”, così fu battezzata, si cominciò a diffondere in tutto il mondo è fu definita come la dieta più salutistica.

Lo stesso studio è stato però oggetto di critiche da parte un gruppo di ricercatori dell’università di Creta (in particolare la dottoressa cretese Katerina Sarri, autrice di uno studio che metteva a confronto i valori metabolici di chi seguiva un semi-digiuno e chi no) oltre che da Joeffrey Cannon in un articolo chiamato “Out of the Christmas box” uscito nel 2004 su “Public Health Nutrition”.

Queste critiche in particolare si riferiscono al fatto che Keys e colleghi non avrebbero preso in considerazione che nelle popolazioni dove fu eseguito lo studio, in particolar modo la Grecia, gli abitanti erano soliti praticare i precetti della chiesa ortodossa cristiana. La religione ortodossa, come tutte quelle cristiane, prevede periodi più o meno lunghi di digiuno durante l’anno soprattutto nei giorni precedenti le feste liturgiche.

Questi periodi di digiuno, le cui modalità cambierebbero secondo i periodi di festa (si parla di astensione totale dal cibo o di esclusione completa di carni di ogni tipo), in totale, durante l’arco dell’anno, ammonterebbero tra i 180 e i 200 giorni. Secondo i ricercatori tale pratica potrebbe aver influenzato non poco i risultati dello studio condotto da Keys e colleghi.

La dieta mediterranea potrebbe avere quindi col digiuno intermittente molte più cose in comune di quanto si pensi.

Modelli di Digiuno

Il digiuno è l'astensione totale o parziale dal cibo. Il digiuno intermittente è invece alternare momenti di alimentazione a momenti di sottoalimentazione e digiuno. Oltre che per scopi religiosi esso viene praticato anche altri motivi.

Esiste infatti il digiuno terapeutico, a volte usato in ambito clinico nella cura di malattie, solitamente molto impegnativo e che consiste nell’astenersi dal cibo per svariati giorni fino anche a 2-3 settimane. Queste forme di digiuno prevedono effetti anche gravi, come perdita di peso, massa muscolare, riduzione delle difese immunitarie ecc… richiedendo quindi un’attenta supervisione medica.

Oltre al digiuno religioso e terapeutico esistono varie forme di digiuni brevi raccolti sotto il nome di digiuno intermittente o intermittent fasting (IF), venute alla ribalta negli ultimi anni sotto varie forme. Le principali:

Time restricted feeding: E’ la versione del digiuno intermittente forse più conosciuta ed anche più utilizzata dagli sportivi e da chi pratica sollevamento pesi.

Consiste nel dividere la giornata in due momenti: una finestra di digiuno della durata di diverse ore in cui non verrà introdotto alcun cibo ad eccezione di acqua, caffè amaro, tè, bevande senza zuccheri,spezie di vario tipo (come la cannella) e olio di cocco che sembrano possano avere effetti positivi nelle ore di digiuno amplificando gli effetti di quest’ultimo, mentre nelle altre ore rimanenti (chiamate “fed”) ci si nutre normalmente senza alcuna privazione.

Le ore sia di fast che di fed possono comunque essere variate in base alle esigenze, impegni o tempo. Le ore di digiuno possono variare dalle 12 alle 19-20 ore (restringendo in quest’ultimo caso le ore di fed).

Questa contiene diverse sottoclassi tra cui il più conosciuto Digiuno intermittente leangains 16/8 che consiste nel dividere la giornata nelle 16 ore di fast e le 8 ore di fed.

Warrior diet: La Warrior Diet è una versione del digiuno intermittente diffusasi grazie all’omonimo testo di Ori Hofmekler che consiste nel fare un unico pasto al giorno, preferibilmente di sera, senza alcuna restrizione di calorie o apporto di macronutrienti, mimando quelle che erano le abitudini alimentari dei guerrieri.

In realtà la Warrior Diet prevede la possibilità di mettere qualcosa sotto ai denti durante il corso della giornata a patto che gli spuntini siano esclusivamente a base di verdure fresche, frutta e/o un po’ di proteine. Il testo, nonostante sia più filosofico-storico che scientifico ( l’autore infatti non è uno scienziato né un nutrizionista), sembra avere dei riscontri scientifici abbastanza validi.

Adf: L’ADF o alternative day fasting o in italiano “digiuno a giorni alterni” è uno dei protocolli più noti in ambito scientifico e anche uno dei primi ad essere usato negli studi.

Da essa hanno tratto ispirazione il medico Dr Michael Mosley e la giornalista Mimi Spencer autori del libro “la dieta fast”. La dieta consiste nel mangiare ad libitum per 5 giorni alla settimana ed effettuare una forte restrizione calorica negli altri due giorni.

Per questo motivo sarebbe più corretto parlare di restrizione calorica intermittente piuttosto che di digiuno vero e proprio. Nei giorni off o di restrizione è previsto un massimo di 500/600 kcal (pari al 25% circa della spesa calorica giornaliera).

Eat stop eat: Consiste nel fare un digiuno di 24 durante il corso della settimana per uno o due giorni. Il metodo è stato ideato da Brad Pilon, nutrizionista americano noto per il suo libro che prende il nome da tale pratica.

Whole day fasting: E' Un altro protocollo di digiuno intermittente usato spesso in letteratura scientifica che consiste nel fare digiuni completi per 1-2 giorni la settimana e mangiare ad libitum nei rimanenti giorni (è molto simile alla versione precedente con la solo differenza che nella forma di digiuno intermittente proposta da Pilon nei giorni di non-digiuno è prevista una normocalorica).

Restrizione calorica (CR): In realtà la CR non si tratta di una forma di digiuno, nella letteratura scientifica è però spesso associata al digiuno intermittente poiché presenterebbe molte cose in comune con quest’ultima. L’abbinamento IF-CR sembrerebbe portare dei benefici sulla longevità, sui parametri metabolici, autofagia, obesità ecc.

Digiuno intermittente Ramadan: E’ una delle prime forme di digiuno studiate in letteratura venendo spesso associato al classico intermittent fasting. Si differenzia da quest’ultimo per il semplice motivo che nelle ore di digiuno i praticanti di tale regime non assumono alcuna bevanda (acqua, tè o quant’altro).

Fisiologia del Digiuno

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I macronutrienti principali sono carboidrati, proteine e grassi. I carboidrati in particolare svolgono il ruolo principale come fonte di energia, soprattutto durante un lavoro fisico.

Essi, una volta introdotti nel corpo, vengono o utilizzati immediatamente a scopo energetico o trasformati in glucosio e conservati sotto forma di glicogeno epatico e muscolare, pronti ad essere nuovamente convertiti in glucosio durante l’attività fisica o il digiuno al fine di mantenere costante il glucosio ematico (la glicemia) ed evitare stati di ipoglicemia.

Mantenere il glucosio ematico costante è un processo importante poiché esso rappresenta la fonte di energia primaria per il cervello (esso è in grado di utilizzare anche i corpi chetonici che si formano durante i periodi di digiuno prolungato e nelle diete chetogeniche).

Ormoni coinvolti

 Insulina

Quando il glucosio viene assunto mediante il cibo questo fa scattare un meccanismo che porta al rilascio di insulina. Questo ormone, prodotto dalle cellule beta nel pancreas, è responsabile del trasporto di glucosio che attraverso poi i trasportatori GLUT riesce ad entrare nella cellula ed essere immagazzinato.

L’insulina ha infatti un effetto ipoglicemizzante abbassando la quantità di glucosio ematico quando questo è elevato, specie dopo un pasto glucidico, facendolo rientrare in un range tra 80-120 mg/dl. Quando il livello di glucosio sale oltre tale range l’insulina è rilasciata per far ritornare il glucosio ai livelli basali.

L’insulina esercita importanti funzioni nel metabolismo lipidico favorendo oltre l’assorbimento del glucosio nelle cellule anche la loro conversione in grasso.

In presenza di una risposta insulinica l’organismo utilizza prevalentemente i carboidrati come substrato energetico convertendo invece in lipidi i carboidrati in eccesso (il glucosio in eccesso può essere trasportato e immagazzinato all’interno degli adipociti favorendo l’accumulo di grasso). Al contrario in sua assenza il corpo utilizza prevalentemente acidi grassi. Approfondimento sull'Insulina.

Fattori stimolanti l’insulina

• iperglicemia

• elevata concentrazione di alcuni aminoacidi

Fattori inibitori dell’insulina

• ipoglicemia

• glucagone, GH, cortisolo e catecolamine

• Gluconeogensi

Il glucosio è quindi considerato la “moneta energetica” del corpo. Attraverso di essa viene poi ricavato l’ATP, essenziale per tutti i processi metabolici dell’organismo.

Il glucosio può però anche essere prodotto attraverso un processo chiamato gluconeogenesi. Quando l’apporto di carboidrati assunto attraverso la dieta è scarso (come nella chetogenica o nelle diete “low carb”) o durante i periodi di digiuno e di attività fisica prolungata, le scorte di glicogeno tendono ad esaurirsi (a secondo delle attività basterebbero circa dalle 12 alle 16 ore di digiuno per essere completamente depletate).

In queste condizioni, affinché il corpo possa ricavare il glucosio necessario per avviare i meccanismi energetici del corpo, esso viene prodotto principalmente nel fegato a partire dalle strutture carboniose di altri composti come aminoacidi, glicerolo, piruvato e acido lattico.

Il metabolismo viene “shiftato” verso un consumo maggiore di acidi grassi sfruttando una maggiore ossidazione lipidica oltre che l’utilizzo di aminoacidi.

Glucagone

Durante i periodi di digiuno l’insulina tende a diminuire. In questa fase interviene invece un altro ormone che ha funzione praticamente opposta a quella dell’insulina, ovvero il glucagone.

Il glucagone viene anch’esso prodotto nel pancreas (dalle cellule alfa), a differenza dell’insulina però la sua produzione aumenta durante i periodi di digiuno e diminuisce successivamente ad un pasto.

Il glucagone svolge la sua funzione nel fegato portando alla deplezione del glicogeno epatico.

Ha un effetto iperglicemizzante e lipolitico in quanto quando il glucosio ematico tende a ridursi (effetto che avviene a digiuno e con attività fisica intensa) il glucagone viene stimolato per alzare la glicemia e (utilizzando soprattutto i grassi) mantenere costante i livelli di glucosio.

Fattori stimolanti il glucagone:

• Attività fisica

•  Ipoglicemia

Fattori inibenti il glucagone:

• iperglicemia

• insulina

Digiuno e ormone della crescita (GH)

Un altro ormone importante che ha funzione nella mobilizzazione dei substrati energetici è il GH (Growth Hormone). Il rilascio di GH avviene per la presenza di stressor tra cui oltre l’esercizio fisico, ipoglicemia, restrizione di carboidrati, anche il digiuno sembra portare ad un suo incremento soprattutto durante le ore notturne. Il GH favorisce la sintesi proteica, promuovendo il trasporto degli aminoacidi, stimola la sintesi di RNA e l’attività dei ribosomi. Il GH svolge funzioni anche sul metabolismo lipidico promuovendo la riduzione dell’utilizzo dei carboidrati e un aumento dell’ossidazione lipidica favorendo la mobilizzazione dei grassi.

Cortisolo

Il cortisolo è un ormone catabolico. La sua stimolazione avviene durante un’attività fisica protratta nel tempo e durante le condizioni di digiuno. Così come il GH e il glucagone anche esso favorisce l’ossidazione lipidica e la mobilizzazione dei grassi. È anche un antagonista dell’insulina inibendo l’assorbimento di glucosio e favorendo l’innalzamento della glicemia.

Chetoni

In condizioni normali il cervello utilizza quasi esclusivamente carboidrati come fonte di energia.

Quando questi cominciano a scarseggiare, come durante le ore di digiuno o di scarso apporto di carboidrati attraverso la dieta, nel cervello avvengono degli adattamenti che portano ad utilizzare i grassi come substrato alternativo tra cui i chetoni dai quali il cervello può ricavare fino a circa il 75% dell’energia in seguito ad adattamento (The Ketogenic diet, Lyle Mcdonald. 2000).

È stato mostrato attraverso alcuni studi che la produzione di chetoni possa ridurre la sensazione di fame. In particolare l’accumulo di FFA ha dimostrato poter portare ad una riduzione dell’assunzione di cibo e dei livelli di glucosio attraverso l’azione su alcuni neuroni ipotalamici (Paoli et al. 2015).

Nei topi gli effetti del digiuno intermittente sulla produzione di chetoni è maggiore rispetto alla semplice restrizione calorica. Il digiuno intermittente porterebbe ad un aumento consistente della concentrazione di β-idrossibutirrato che ha dimostrato poter avere effetti protettivi contro Alzheimer e Parkinson (Martin et al. 2006).

Da tutto ciò si può comprendere quindi come nei periodi di digiuno intermittente i livelli di ossidazione lipidica come quelli di GH, glucagone e cortisolo siano massimi e che possa quindi ciò essere vantaggioso per la lipolisi e la riduzione del WAT (grasso bianco).

Benefici del Digiuno Intermittente

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I benefici del digiuno intermittente sono su più fronti

Il digiuno intermittente, soprattutto quando associato alla restrizione calorica, avrebbe il vantaggio (rispetto alle diete comuni e alle low carb) di aumentare l’ossidazione lipidica e favorire la perdita di massa grassa.

I motivi per cui scegliere di seguire il digiuno intermittente non sono esclusivamente la maggior perdita di body fat ma anche la presenza di altri benefici:

– mantenimento della massa muscolare

– diminuzione dei livelli di glucosio ematico

– diminuzione di insulina (inibitore della lipolisi) e aumento della sensibilità all’insulina

– aumento della lipolisi e dell’ossidazione lipidica

– aumento di adrenalina e noradrenalina (aumentano attenzione e concentrazione)

– aumento di glucagone (ormone lipolitico)

– aumento del GH (ormone anabolico e lipolitico)

– diminuzione di IGF1

– aumento di chetoni (sopprimono la fame)

– riduzione infiammatoria

– aumento dell’adiponectina (favorisce il dimagrimento)

– riduzione di leptina e aumento di grelina (ormoni che regolano la fame)

– aumento di BDNF

– incremento UCP3

Autofagia e Longevità

digiuno rinnovamento cellulare
Il digiuno favorisce l'autofagia e il miglior funzionamento mitocondriale

L’autofagia è un processo fisiologico del corpo (deriva dal greco “mangiare se stessi”, chiamata anche “autolisi”) che avviene a livello cellulare.

E’ presente in tutti gli organismi viventi e consiste in un meccanismo che porta alla distruzione di proteine o di parti della membrana cellulare.

Costituisce un evento fondamentale per la sopravvivenza della cellula in quanto provvede a procurare sostanze nutritive necessarie, quando queste sono poco disponibili, attraverso processi di degenerazione e riciclo.

L’autofagia prevede la sostituzione delle parti malate e danneggiate della cellula con componenti nuove create dall’organismo stesso al fine di rigenerarsi e “ringiovanire”.

Esistono diversi tipi di autofagia: la microautofagia, l’autofagia mediata dalle proteine “chaperonine” e la macroautofagia.

La macroautofagia è quella più studiata nei mammiferi e quella prevalente. Due sono le sue funzioni:

– Riciclo basale degli organelli e delle proteine intracellulari di lunga durata

– Produzione di aminoacidi dalle proteine tramite la proteolisi autofagica (demolizione proteica), in condizione di emergenza nutrizionale ed energetica

Ciò garantirebbe il ringiovanimento cellulare e degli organi del corpo e l’adattamento a condizioni ambientali sfavorevoli.

Gli ormoni insulina e glucagone, che hanno un ruolo cruciale e differente nei periodi di digiuno e post-prandiale, sembrano avere anche un ruolo importante nei processi autofagici del corpo. L’insulina, prodotta dopo un pasto al fine di abbassare la glicemia, è in grado di inibire e sopprimere l’autofagia cellulare.

Il glucagone, invece, ha un ruolo opposto in quanto in grado di stimolare l’autofagia. Esso è infatti un ormone catabolico che ha la funzione di mobilitare gli zuccheri conservati sotto forma di glicogeno al fine di ripristinare la glicemia che durante i periodi di digiuno tende a diminuire.

La pratica del digiuno favorisce quei processi che consentono al corpo di auto-ripararsi e rigenerarsi, fenomeno che sarebbe inibito nelle ore successive ad un pasto. Anche il dott. Armando D'orta ne ha parlato qua.

Uno studio condotto da Vendelbo e coll. ha dimostrato esserci una correlazione tra il digiuno e la riduzione del rilascio di mTOR da parte dell’organismo. L’mTOR è una proteina che ha una funziona importante nella crescita cellulare. La sua attivazione (che avviene dopo un pasto) porterebbe a ridurre i processi di autofagia.

Esistono vari studi condotti sugli animali che mostrerebbero l’efficacia del digiuno intermittente sull’aumento della longevità.

Uno studio addirittura ha evidenziato come i ratti che digiunavano aumentavano dell’83% la durata di vita. (Goodrick C.L. 1982). L’aumento della longevità sarebbe comunque fortemente legata alla restrizione calorica che promuoverebbe gli effetti anti-aging ritardando l’invecchiamento (Hiroshi Sogawa, 2000).

In un recente studio pubblicato sulla rivista scientifica Cell (2015) una dieta che “mima” il digiuno aumenta nei topi la longevità, riduce il grasso viscerale, la possibilità di avere il cancro e i livelli di IGF-1 oltre a rinnovare il sistema immunitario, ritarda la perdita di densità ossea e migliorare i processi cognitivi. Nell’uomo si ridurrebbero i rischi cardiovascolari, diabete, cancro e i processi di “aging”, contrastando l’invecchiamento.

Fame

Una delle difficoltà maggiori che riscontrano le persone quando si approcciano per la prima volta al digiuno intermittente è la paura di affrontare periodi di fame essendo abituati spesso a mangiare ogni 2-3 ore. La domanda che più volte si sente dire quando si propone un approccio come il digiuno è “come faccio a stare 12-16 ore senza mangiare? Non muoio di fame?”.

La vera fame in realtà è riservata a coloro i quali stanno giorni o settimane senza mangiare. Coloro i quali abitano in un Paese che non sia il Terzo Mondo ho dei seri dubbi abbiano mai provato cosa sia avere realmente fame.

È bene distinguere infatti la fame limbica (quella “finta”, proveniente dalla testa) e la fame somatica (quella “vera”, proveniente dallo stomaco). La prima si presenta quando abbiamo di fronte del cibo o pensiamo ad esso, può anche avvenire a stomaco pieno e si presenta generalmente quando si è abituati a mangiare ad una certa ora.

Questo tipo di fame è infatti facilmente regolabile a seconda delle abitudini. In realtà si tratta di una fame “finta” in quanto pur presentandosi dopo 2-3 ore dal pasto il corpo si trova ancora in uno stato di “fed”, cioè è probabile che si stia ancora digerendo e utilizzando i macronutrienti provenienti dall’ultimo pasto.

La fame (quella di testa) in realtà non è un processo innato dell’uomo ma si manifesta per abitudine al cibo. Se osserviamo i comportamenti dei bambini questi spesso sono riluttanti a mangiare e spesso devono essere svegliati per mangiare durante i primi giorni dalla nascita.

Digiunare a intermittenza è uno degli strumenti migliori per riuscire a controllare e tenere a bada la fame limbica che come già visto è facilmente regolabile. Basta infatti abituarsi a digiunare per diverse ore per far si che il corpo e soprattutto la mente si abituino a contrastare la fame e a distinguerla da quella “vera”.

Massa Muscolare e Dimagrimento

L’Intermittent fasting (se impostato in maniera corretta) non causa la perdita di massa muscolare e favorirebbe invece il suo mantenimento. L’impennata del GH che avviene durante le ore di fasting potrebbe anche inibire la perdita delle proteine muscolari.

Lo studio condotto da Norrelund et al nel 2001 aveva sottolineato una riduzione dei livelli di acidi grassi e di ossidazione lipidica quando si sopprimeva il GH, così come un incremento dell’escrezione di urea provocando un bilancio azotato negativo.

La ricercatrice danese aveva quindi dimostrato che il GH rilasciato durante le ore di digiuno può avere un ruolo importante nel mantenimento delle proteine muscolari.

L’attività fisica potrebbe favorire gli effetti del digiuno o della restrizione calorica.

È stato dimostrato che la combinazione di attività fisica e CR (caloric restriction) preverrebbe la riduzione delle fibre muscolari di tipo I nei soggetti anziani (Chomentowski et al. 2009).

La letteratura scientifica riguarda alla correlazione tra digiuno intermittente e performance sportiva è purtroppo abbastanza scarsa.

Gli studi di maggior riferimento riguardano l’intermittent fasting ramadan che, pur avendo con il digiuno intermittente molte cose in comune, presenta delle differenze con quest’ultima, che potrebbero portare effetti diversi sulla prestazione sportiva.

Nel ramadan, seppur esiste una finestra temporale (dall’alba al tramonto: Shaur e Iftar) in cui si digiuna, i fedeli sono anche obbligati a non introdurre alcuna sostanza nell’organismo, ergo sono proibite bevande di ogni tipo (anche acqua, tè o caffè). La disidratazione, soprattutto su soggetti che praticano attività fisica di endurance, associato anche alla deplezione delle scorte di glicogeno potrebbe inficiare negativamente sulla performance sportiva.

Secondo alcuni studi condotti sui bambini l’IFR causerebbe una riduzione nelle prestazioni di endurance mentre non provocherebbe alterazioni significative di prestazione negli esercizi esplosivi di breve durata (Fenneni et al. 2015).

Anche la review di Shephard (2012) è in accordo con tali risultati riportando un mantenimento delle capacità anaerobiche e della forza muscolare se il sonno non viene alterato, l’allenamento mantenuto e se si evitano condizioni di disidratazione.

Non sono inoltre previste deterioramenti del MOI (maximal oxygen intake) su test della durata di 10’, alterazioni che si presenterebbero invece in attività di durata maggiore.

Un altro studio invece su ciclisti ha dimostrato come dopo un regime di restrizione calorica e di digiuno notturno non veniva alterata la performance di endurance mentre aumentava invece la PWR (power-to-weight ratio) (Ferguson et al. 2009)

Studi più datati confermerebbero la mancata correlazione tra digiuno (protratto per più giorni) e ridotta performance fisica. (Eat stop Eat – Brad Pilon; 2007)

Abbiamo però visto che durante i periodi di digiuno avviene una maggiore stimolazione dell’attivazione del sistema simpatico che promuove una maggior vigilanza attraverso il rilascio di catecolamine (adrenalina e noradrenalina).

In queste condizioni potrebbe avvenire, in determinate attività sportive, un miglioramento della performance oltre che favorire il dimagrimento.

Seppur essendoci ancora poca conferma in ambito scientifico dei benefici del digiuno sulla performance fisica esistono invece evidenze che valuterebbero gli effetti negativi nel consumare più pasti al giorno. Una delle credenze più diffuse in ambito alimentare è che fare più pasti al giorno possa favorire il dimagrimento accelerando il metabolismo. Ma le cose stanno davvero così?

Alcuni studi affermerebbero che non solo l’aumento della frequenza dei pasti non avrebbe alcun effetto sull’ossidazione lipidica ma aumenterebbe addirittura la sensazione di fame e il desiderio di mangiare che potrebbe essere invece tenuto sotto controllo mediante il digiuno. (Ohkawara et al. 2013)

Molte ricerche scientifiche rifiuterebbero le credenze popolari che fare pasti più piccoli e frequenti aumenterebbe la spesa energetica rispetto che nel fare pasti più abbondanti ed infrequenti (Helms et al. 2014).

Gli ultimi studi escluderebbero la presenza di maggiori vantaggi nella perdita di massa grassa nell’effettuare più pasti al giorno, non riscontrando notevoli differenze rispetto a ridurre il numero dei pasti se la spesa calorica rimane la stessa.

In queste condizioni, indipendentemente dal numero dei pasti, il TEF (Thermic Effect of Food), cioè l’effetto termico indotto dal cibo, risulta essere uguale escludendo dei vantaggi dal punto di vista della spesa energetica. Infatti più ricco è il pasto maggiore è anche il TEF (Schoenfeld et al 2015).

Conclusioni

Nonostante nella letteratura scientifica si trovino numerosi studi sul digiuno intermittente, le evidenze di tale regime sull’uomo nelle condizioni più pratiche e vicine a noi sono ancora poche per poter parlare di sicuri benefici anche per quest’ultimi.

Tuttavia, gli effetti del digiuno intermittente e la fisiologia di base rimangono.

In ogni caso il digiuno terapeutico è stato dimostrato avere dei riscontri positivi sulla riduzione di rischi clinici di vario tipo.

Tra gli effetti positivi possiamo notare nei pochi studi condotti sull’uomo un miglioramento di vari parametri metabolici tra cui colesterolo LDL, PCR, massa grassa e trigliceridi anche se in alcuni studi sono stati riscontrati incrementi dell’LDL durante i periodi di digiuno. Quest’ultimo sembrerebbe anche portare incrementi temporanei dell’ormone GH favorendo gli effetti sulla lipolisi.

Gli studi osservazionali hanno mostrato inoltre una riduzione sui rischi di CAD e di diabete.

Essi però rimangono poco attendibili e necessitano di ulteriori ricerche (soprattutto RCT) in quanto condotti su persone che seguono digiuni religiosi solo una volta al mese.

Bisognerebbe anche stare attenti nell’eseguire digiuni prolungati (nella letteratura si parla non più di Fasting ma di Starvation), se non sotto stretta osservazione medica, poichè causerebbero la perdita eccessiva di peso, anemia, diarrea e altri disturbi (in alcuni casi anche la morte).

Nei topi anche digiuni intermittenti (ADF) svolti più volte consecutivamente durante la settimana hanno mostrato causare disfunzioni diastoliche che potrebbero suggerire una maggior cautela nell’uomo nell’eseguire digiuni troppo frequenti.

Nonostante i benefici su parametri metabolici, performance cognitive o su esiti cardiovascolari, su lungo termine gli studi randomizzati o controllati rimangono pochi. Come per ogni cosa, sono necessarie altre ricerche.

Abbiamo notato come il digiuno abbia sempre fatto parte della storia dell’umanità in qualche modo e tale pratica, in ogni caso, sta venendo alla ribalta solo negli ultimi anni soprattutto nel mondo del Fitness sotto varie forme (16/8, Warrior Diet, 5:2…) ed è sempre maggiore l’interesse in ambito scientifico.

Le diverse modalità con le quali si può impostare tale regime lo rende molto flessibile e facile da sostenere dalla maggior parte delle persone. Se infatti pensiamo che molte di esse sono abituate a fare una colazione veloce con il solo caffè o cappuccino e poi torna a mangiare una volta arrivata a casa dopo lavoro non è poi così difficile pensare che tale regime non sia sostenibile ai più.

Per trarne beneficio non occorre per forza tenere uno schema preciso e invariato ma basta adattare tale regime a secondo del proprio stile di vita e dei vari impegni. Si può digiunare per 10, 16, 24 o più ore. Si può condurre un giorno in 16/8, un altro in WD, il successivo digiunando tutta la giornata. La flessibilità e il non essere ossessionati a cosa e soprattutto a quando mangiare è il vero punto di forza di tale regime che aiuta ad evitare gli stress indotti dal mangiare in precisi orari e a volte anche contro voglia.

Una particolare attenzione andrebbe data anche in ambito sportivo soprattutto in quelli sport che richiedono grandi capacità di concentrazione e attenzione, tutte qualità che durante il digiuno tendono a migliorare.

Gli effetti positivi sul dimagrimento non possono passare inosservati. Come si è visto negli studi analizzati, il digiuno intermittente, quando associato alla restrizione calorica, potrebbe essere uno strumento importante per combattere l’obesità e le varie malattie legate all’alimentazione.

Al di là dei miglioramenti degli aspetti metabolici (i quali necessitano prima di tutto di un’alimentazione SANA e CORRETTA) e dei presunti benefici sulla performance e dimagrimento, i veri e primi vantaggi del digiuno intermittente sono a livello psicologico, dati dalla flessibilità di tale approccio.

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Fonti

Parte della tesi universitaria di Ivan Pitrulli

Linee guida per applicare il digiuno intermittente 16/8